Ma l'esul Fiorentin dritto al compiantoAvea d'ogni gentil, chiuse dall'arme
Veggendosi le valli, ove ne' campiDegli avi suoi vissuto fora, amando
Se non tutti i mortali, almen talunoDe' servi e cani delle sue pareti.
Noi, sir, compianto non mertiam, fuggendoSenza esilio que' lochi ove la polve
De' padri nostri giace, ove ogni zollaRammenta di que' padri angosce o gioie
Ad essi sacre, e non men sacre ai figli.
- Taci! disse Roccello. Ed ambidueS'asciugaron le ciglia.
Entro il regnettoDella prosapia da Carrara i passi
Misero i vïaggianti, ed ivi i dottiPortici Padovani appena tocchi
Venner dal cavaliero, a questo un fanteCortese come il Veneto affacciossi.
- Illustre sir, picciolo prence è il nostro,
E l'ira di san Marco evitar debbe:
A voi di là bandito i Padovani
Dar non possono ospizio: uscir vi piaccia.
Sulle cavalcature i Saluzzesi
Risaliron mirandosi, e Gilnero
Vermiglia come brage avea la faccia.
- Spero, disse a Roccel, che da ogni lidoSarem cacciati come ladri, e grazia
Poca non fia se n'è sparmiato il laccio.
Ma novamente in breve eccoli a rivaStanzïati dell'Adige, il fremente
Gilnero sbadigliando, e il lieto sireGioie di cavalieri assaporando
Ora a torneamenti, or a pomposeSere di corte, ove su nobili arpe
La scaligera gloria i trovadoriSu tutte glorie esaltano, e obblïato
Non è l'ospizio e l'amistà che v'ebbeIl ramingo signor de' patrii canti.
Ma dopo il giro di due lune, oppressiCittadini conobbe il Saluzzese,
Che si dolean secretamente: il tempoEsser dicean per sempre estinto, in cui
Davver fiorìa Verona, uomini insigni
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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