Recando in seggio. Or tralignato il semeStimavan de' lor prenci. Or su Verona
Primeggiante vedean di giorno in giornoVieppių Milano: or non fulgea pių raggio
Di grandezza ai nepoti; ora infamatoIva il nome scaligero da paci
Ed alleanze instabili e bugiarde,
E pazze guerre e di giustizia spregio.
S'attristava Roccel considerandoCome per ogni umana gente, accanto
A superbe allegrezze e a larghi incensiTributati al natėo suolo beato,
Ferva di sconsolate alme il dolore,
Ch'ivi non veggion fuorchč fango ed onta.
- Dunque, ei dicea (non a Gilner, ma chiusoEntro se stesso), a che vogl'io contrade
Trovar migliori di Saluzzo? InfermaL'umana razza non č tutta al pari?
Vana apparenza ognor non sono il lustroE l'albagėa de' pių cospicui lidi?
Vana apparenza non č tutto, i rettiPensieri tranne e le magnanim'opre?
Meditava ei cosė, ma fantasiePių splendide e men vere indi volgea,
Che bello il secol gli pingeano, e belloil vincolarsi all'inclito destino
De' prenci pių operosi e pių possenti:
Alte dal secol suo cose aspettava,
E da Verona or presagėane il cenno.
Del bando a lui da' Veneti scagliatoVoce traspira intanto, e da maligni
O sospettosi inventansi novelleSulla cagion del fatto. Ei di Luchino
Viene estimato esploratore astuto,
E cessano per lui gli accoglimentiNelle sale de' sommi ed il sorriso
Delle dame scaligere. Egli espulsoPer comando non vien, ma dai serrati
Cuori si scosta disdegnoso e parte.
Invan Gilnero, il curïoso aduncoNaso arricciando, investigar tentava
Dal taciturno signor suo le causeDel pronto dipartir.
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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