Gli si negaro, e l'appellar buffone,
E riser di sue leggi e dalle spalleStrappargli voller di tribuno il manto,
Ed ei chiamò i suoi fidi alla battaglia,
E quei che fidi ei riputava, il ferroVolser sull'idol loro e il laceraro!
In quella orrenda civil pugna, il folleParteggiar di Roccel per l'assalito
L'espose a risse ed a coltelli. A stentoSi strascinò ferito alle ospitali
Soglie d'un chiostro, e le pietose cureDi Gilnero e de' frati il serbàr vivo.
Il magnanimo infermo cavalieroPiù dì e più notti delirò, imprecando
I nemici di Cola e Cola istesso,
E le promesse e le speranze e l'ireDel suo secol maligno, e ciascheduna
Delle da lui percorse itale spiagge.
Gilner l'interrompea: - Saluzzo in veroNon è paese come questi, e vale
Tutte le Rome della terra: ad ogniPaio di birbi abbiam cinquanta onesti!
Ad ogni donna vil, cento zitelleE cento mogli che son perle! Andate
Dove volete, una Saluzzo è sola!
L'infermo cavalier ne' suoi deliriiTai di Gilnero udendo amate voci,
Non discernea chi il parlator si fosse,
E a lui diceva: - Oh! chi se' tu, corteseVenerando filosofo, che alfine
Sveli al mio indagatore, avido spirtoLa contrada cui tende ogni mia brama,
La contrada de' buoni?
- Io son Gilnero,
E a Dio piacesse ch'io vi fossi ognoraSembrato un venerando! Io vi consiglio
Di risanar dalle ferite e in unoDalle vostre follìe. Cercando eroi
Si trovan coltellate, e si consumaInutilmente sanità e danaro.
- Dunque?
- A Saluzzo torneram.
- No: vistaNon ho Napoli ancor, la fortunata
Monarchia di Giovanna: ah troppo dureSon le maschie superbe anime, e solo
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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