La voce, i guardi, e levò il capo, e disse:
- Sia benedetta la pietà di Guido
Ch'ospital posa al mio morir provvide!
Sia benedetto, o amici tutti, il dolceVostro compianto, e benedetto ognuno
Di que' che al tosco esule vate il tristoPellegrinaggio consolâr d'onore
E d'applausi magnanimi - e di pane!
Ma non però il mio benedir ti manchi,
Patria crudel che a me noverca fosti,
Ed io qual madre amava ed amo! AndateLe mie voci a ridirle e il mio perdono,
E i miei consigli e il lagrimar di Dante
Sulle materne iniquità e sventure!
Qui pianse e tacque. Indi il febbril tumultoDe' generosi suoi dolori il senso
Addoppiò della vita entro il suo petto,
E la parola gli tornò sul labbroNon tremula, non fiacca. Ognun si stava
Rispettoso ed attonito, ascoltandoDi quel gran cor gli oracoli supremi.
- Dite a Fiorenza, e in un con essa a quanteSon dell'amata Italia mia le spiagge,
Che s'io censor severo e fremebondoNe' miei carmi di foco ira esalai,
Men da rabbia dettati eran que' carmiChe da desìo perenne e tormentoso
Di ritrarre e caduti e vacillantiD'infra il sozzume lor di melma e sangue.
E se nell'ira mia sfolgorò vampaD'orgoglio e d'odio, or ne' pensier di morte
La condanno e l'estinguo, e prego paceA' miei nemici sì viventi ancora,
Sì nella notte dell'avel sepolti.
Tacque di novo, e sollalzato meglioL'infermo fianco, assisesi, ed eresse
La fronte, e colla palma la percosse:,
E disse: - Io veggo l'avvenir!
Nell'ossaDegli uditori un gel di reverenza
Rapido corse e di spavento.
- Io veggoIn quel lezzo di fango e di macelli
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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Guido Dante Fiorenza Italia
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