E all'arroganza od all'insidie forseTroverassi Rosilde, e le vien meno
Segretamente al sol pensarvi il core.
Dal palagio paterno uscita maiPria non era del giorno in che da Susa
Mosse al castel dello sposato amante:
E qualche volta appena ivi la facciaD'alcun ospite vide, e tutto serba
Il pudor dell'infanzia e la paura.
E quel debole petto or notte e giornoPer le selve cavalca! e ad ogni fischio
Trema di fronda, e gli urli della lupaOde, e vede la sera da lontano
I fochi, ove, chi sa? forse cenandoNovi omicidii medita un ladrone! -
Per me non tremerei: ma se rapitiMi fossero que' carchi, onde salvezza
A te verria, Teodomiro, allora?" -
Ed ei, Teodomir - dall'alte muraOve geme prigion, stassi alle doppie
Sbarre aggrappato della sua fenestra:
Ad ore ad ore immobilmente figgeSovra l'ampio orizzon l'occhio bramoso:
Bramoso? e che mai spera? - Ah! nulla spera!
Estinto credo il fido Ugger: Rosilde
Saper di lui non può. - "Questo vil cibo,
Che invan mi si largisce, alfin dispendioParrà soverchio, e m'alzeran la croce;
Venga, venga quel dì!" - Tal è il febbrileSuo frequente desio. Fero contrasto,
Bramar come riposo unico morte,
E inorridir pensando al disperatoLamento di chi t'ama, allorchè il grido
Udrà del tuo martirio! e nuovamente,
Quasi l'orribil vita che tu viviBramar di proseguire, onde non giunga
Alle tue sale mai quel desolanteIndubitabil grido Ei più non vive! -
Da quelle sbarre guarda, e nulla speraTeodomir: ma i dì passan talvolta,
Ed umana figura egli non vede,
Perocchè a tergo della torre il campo
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Poesie scelte
di Silvio Pellico
Edizioni Buadry Parigi 1840
pagine 149 |
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