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      Giace degli Unni, e a questa parte è un vastoTratto deserto di palude e arena
      Che ad un bosco confina, e solo a mancaVeggonsi dietro agli olmi i campanili
      Della città, e se il vento agita i ramiSi scoprono gli spaldi... Agita, o vento,
      Agita quelle fronde! e il prigionieroVeggia talor sovra gli spaldi il passo
      Di vivente persona! È un indistintoTormentoso bisogno al solitario
      Il veder l'uomo - Almen da lunge! un santoMisterioso amor lega i mortali,
      Se distanza li scevra: ah! come a nojaPuon da presso venirsi e farsi guerra?
      Anco i nemici quasi ama, se ascoltaLor selvaggia canzon Teodomiro,
      Che pur l'Ungaro canto è umana voce.
      E se nel bosco alcuna volta udiaLa percossa lontana della scure,
      Pur frenava il respiro, e da que' colpiAlcun piacer traea, perocchè all'occhio
      Della mente pingeasi il buon villanoChe coll'ardua fatica alla diletta
      Moglie porgeva e a' dolci figli il pane.
      Ahimè, ben d'uopo è ch'uom giaccia all'estremoD'ogni miseria onde gli sien ricchezza
      Così povere gioje! - E se nel boscoTace la scure - e taccion gli Unni - e tace
      Negli olmi il vento - e dalle torri il caroA' meditanti suon della campana -
      Chi allor molce, o prigion, tue tetre noje?
      Oh allor - quel ciglio ch'uom giammai non videNel lutto inumidirsi, in mesta guisa
      Abbassandosi a terra, a larghe stilleVersa il dolore!
      Oh mia Rosilde! io sonoL'autor di tua sciagura! Io da celeste
      Credea ispirazione essere al pioViaggio mosso, e m'illudea il consiglio
      Dello spirto a cui gioco è l'uman pianto!"
      A cavallo! a cavallo! ecco una preda!


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Poesie scelte
di Silvio Pellico
Edizioni Buadry Parigi
1840 pagine 149

   





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