Pensava Adel, la mercè ingrata è questaCh'io rendo al mio signore? a lui che tanti
Su me profuse beneficii e pegniD'amistà nobilissima ed esempi
Alti d'onor? Così rammento i cenniDe' genitori miei, la veneranda
Storia de' lor martirii e come in ventiBen più gravi sciagure immolàr tutto
Fuor che lor fede a' cari prenci e al dritto?
In chi di giusti nacque, è onnipossenteLa rimembranza de' dettami austeri
Nell'infanzia bevuti e il sacro accentoCon che amando addolcianli e padre e madre.
Disonorar con vili atti egli temeL'immacolata lor canizie, e questo
Gentil timor, ne' gran cimenti - alloraChe virtù langue - di virtù lien loco.
Ahi, che feci, Eloisa? Ove trascorseL'incauto labbro! Oh, un infelice obblia
Che ardì il tuo sdegno provocar! L'insaniaOnde vittima gemo, ancor la voce
Del dover mio non soffocava appieno.
Che insano fui - non vil - tel dirà il prontoMio abbandonar questo adorato albergo
Onde più mai non rivederti. Un altoDelitto le contrade itale afflisse
E vendetta domanda: io la grand'ombraDi Berengario a vendicar mi reco.
Cadrò nel campo dell'onore: udraiForse in breve il mio nome e dirai "Basso
Fu il viver suo, ma egli moria da forte."
Ma non men che in Adel s'avviva in pettoAd Eloisa di virtù il bel raggio:
E ipocrisia sdegnando e vano orgoglio,
Qual sorella gli parla e con decoroQuasi di madre e di regina - eppure
Sol favellar così potea un'amante.
Un celeste idïoma era, onde i pochiPredestinati cuori han conoscenza
Che amaron come Adello, e un'Eloisa
Sulla terra trovarono, e una volta
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Poesie scelte
di Silvio Pellico
Edizioni Buadry Parigi 1840
pagine 149 |
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