Che in sue nuove tempeste Ugo invocavaIl braccio tuo; so che anelò Vinegia
Di ritorti ad Amalfi, e che in ciascunaItala signoria ferve la brama
Di possederti a suo campion: ma esportiDi fortuna a' capricci, ah no, non posso!
Sol crederei, se in mia balìa fosse indiIl tuo pronto riscatto: oh, ma ti dissi
La mia piena miseria!"
Uopo ad Arnaldo
Il ceder fu. Partì sulla primieraCristiana prora: agl'Itali l'annunzio
Esso, con altri dall'eroe redenti,
Portar di questo fatto. Onor pareaStringer più d'una terra alla salvezza
Del guerriero in catene: il sir franceseNon osò dubitarne; Adello stesso,
Benchè scevro d'orgoglio, aver sul gratoAnimo altrui credea qualche dritto -
Tutti obbliaro il misero! quattr'anniLe afriche solitudini l'han visto,
Con abbietti compagni ad opre abbietteSotto varii tiranni i suoi sudori
Spargere oscuramente - ed eroe ancoraEsser per gl'infelici, o alleviando,
Con gravarne sè stesso, i lor dolori,
O al rassegnato suo religïosoSenso le svigorite alme estollendo.
Chi ai Saracini il tardo inaspettatoPrezzo portò del cavaliero? Un messo
Che dalle rocche vien d'Arnaldo. Il sireFedeli colleganze e alto valore
Ricondotto hanno a' suoi dominii e a tuttaLa paterna sua gloria.
Adello è ascesoSull'ospital naviglio: al marsigliese
Porto ei veleggia. Oh come dir la gioja,
La gratitudin che il bel cuore inonda?
Come i diversi palpiti, approdando?
Poi, sul corsier veloce alle castellaDel suo benefattore e d'Eloisa
Senza posa traendo?
Ei giunge: incontroMoveangli il sire ed Eloisa e i figli
(Figli di quell'imen; pur cari all'alma
| |
Poesie scelte
di Silvio Pellico
Edizioni Buadry Parigi 1840
pagine 149 |
|
|
Ugo Vinegia Amalfi Arnaldo Itali Adello Saracini Arnaldo Eloisa Eloisa Figli
|