Donata avrìa! - Dall'olmo alfin veggiamoScender di qua e di là dalle pendici
Fiaccole ardenti. Eran d'Irnando il padreEd il mio che venìan, co' loro servi,
Degli smarriti figliuoletti in cerca.
Sgombrava il lupo a quella vista; e noiDall'arbore ospital lieti calammo,
E saltellanti sulla neve, incontroMovemmo ai genitor, con infinito
Cinguettìo raccontando, io la pauraCh'ebbi di perder l'adorato amico,
Egli la mia temerità e la provaChe in questa aveavi di gagliardo amore.
Oh qual sera di gaudio! oh quanta lodeAl fratellevol nostro affetto i duo
Parenti davan! Come altero Irnando
Mostravasi di me! Com'io di lui! -
Di nostra püerizia i dolci giorniDa mille vicenduole ivan cosparsi,
Che all'uno e all'altro certa fean la mutuaE generosa fede! E così stretto
Vincol di due schiettissim'alme... il tempoDovea spezzarlo!
In questa guisa gemeIl cavalier Camillo. Ed Ildegarde
Dalle corvine chiome e dalla svelta,
Maestosa statura: - O sposo amato,
Perdona, prego, al mio pensier; non colpaFu in te forse d'orgoglio! Hai tu alcun passo
Nobilmente tentato al benedettoDagli Angioli e da Dio pacificarvi?
- Di nostre nozze intera anco non volgeLa luna, o mia diletta, e mal conosci
Del tuo Camillo il cor. Non di rossorePerciò si tinga il tuo bel volto, o donna:
Garrir, no, non ti voglio: impareraiCol tempo qual possanza in questo core
Abbian gli affetti. Se tentai? Se dieciVolte l'orgoglio mio non s'immolava
Per racquistarmi quell'amico? IndarnoEi più non è quello di pria: uno spirto
Di maligna superbia il signoreggia:
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Poesie scelte
di Silvio Pellico
Edizioni Buadry Parigi 1840
pagine 149 |
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Irnando Irnando Camillo Ildegarde Angioli Dio Camillo
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