Dicean ciascun tra sè: "L'amico mio,
Sebben malvagio, egli è un eroe pursempre!"
Già quegli anni di sangue or son passati;
Già molte spente sono illusïoniNelle agitate lor menti guerriere,
Benchè in età ancor verde. Eppur concordiaLor generose palme, ahi! non rinserra.
Beato d'una sposa era anche Irnando,
E questa il dolce avea nome d'Elina,
E di più figli era già madre. Il cieloDato le ha cor fervente, ed intelletto
Gentil, ma entusïastico. NatìeLe pedemontanine aure in che vive
A lei non son; romano è sangue; e il padreD'Elina, de' ribelli ognor nemico,
Morì con gloria in campo. Ella supporreNon potria mai che Irnando ingiustamente
Odio porti a Camillo. A lei Camillo
Noto non è, ma sel figura indegno,
Irreconcilïabile, covanteSempre perfidie. E motto mai non dice
Per calmare il marito allor che l'odeFremer contra il vicin.
Folli stranezzeDel core umano! Irnando, ancorchè fiero
Più di Camillo, e a malignar proclive,
Più bei momenti non avea di quelli,
In che, pensando alla sua dolce infanzia,
Questo o quel nobil detto o nobil attoDel caro, oggi abborrito, ei ricordava.
In quei momenti (e rivenian di spesso)
L'alma gli sorrideva, immaginandoQuando ad entrambo tornerìa dolcezza
Esser amici ancor: ma appena accortoDi questo desiderio, ei ripigliava
A esacerbarsi, a biasimar sè stessoDi soverchia indulgenza, ed intimarsi
Perseveranza d'astio e di disprezzo.
Vedute in tanti cavalieri aveaMutazïoni di principii abbiette!
Gli uni servi al buon prence, indi congiuntiPerfidamente all'avversario suo;
Gli altri farsi un Iddio del tracotante
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Poesie scelte
di Silvio Pellico
Edizioni Buadry Parigi 1840
pagine 149 |
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