Contenditore al trono, e poi, cadutaLa sua potenza, irriderlo. E di tali
Apostasie si repetea soventeLa turpe inverecondia. E le più altere
Alme se ne sdegnavano, e temendoApostate parer, persistean truci
Ne' giurati decreti, ove decretiSconsigliati pur fossero. Ogni volta
Che Irnando dalle sue balze rimiraIl castel di Camillo, e rivolgendo
Va quanto spesso col diletto amicoIn quelle sale, a quel verron, su quelle
Mura, per quel pendìo, sovra quell'ertoCiglione, in quella valle, avea di santi
Affanni e santi gaudii conversato,
Di repente corrucciasi, e la fronteColla palma fregando, a sè ridice:
Via quelle stolte rimembranze! obbrobrioL'onorar d'un sospiro i dì bugiardi,
Che amabil tanto mi pingean quel tristo!"
Men concitato da alterigia, aveaCamillo a dame ed a baroni ufficio
Pacifero richiesto. E quelle e questiSordo trovaro a lor parole Irnando.
Ma alla dolce Ildegarde or molto incresceQuesta fera discordia; ognor paventa
Che i fremebondi prorompano a guerra.
- Freddi interceditori, o sposo mio,
Forse fur quelle dame e que' baroniDi cui mi narri. Di te degno oh come
Stato sarebbe il presentar te stessoCon amabil fidanza e quell'iroso!
- Che parli, o donna? Io, non colpevol, ioCodardamente supplice a' suoi piedi!
- Codardìa consigliarti, o mio diletto,
Potrebbe mai la sposa tua? DinanziA lui, supplice no, ma con onesta
Securtà mosso io ti vorrei. Da quantoPinger mi suoli di quel prode offeso,
Incapace ci sarìa di fare ingiuriaA chi chiedesse entro sue torri ospizio. -
Se il pio consiglio accolga, esita alcuni
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Poesie scelte
di Silvio Pellico
Edizioni Buadry Parigi 1840
pagine 149 |
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Irnando Camillo Irnando Ildegarde
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