Giorni Camillo; indi alla sposa: - O amica,
A tanto, no, non posso umilïarmi;
Ma non perciò mi ristarò da spemeDi pacificamento. Un messaggero
Mai non mandai direttamente ancoraCon parole d'onore all'orgoglioso.
Forse gli estranei intercessori sdegna,
Ma vedendo a sè innanzi un mio scudiero,
E amici detti per mia parte udendo,
Commoverassi, e non vorrà esser menoGeneroso di me. -
Compie Camillo
La divisata prova. Indi attendeaIl ritorno del messo, e d'una sala
Passava in altra irrequïeto, e indugioSoverchio gli sembrava.
- Il furibondoSdegnasse dare all'invïato ascolto?
O frodoloso intento, o vil lusingaD'animo impaurito ei sospettasse,
E rispondesse coll'atroce insultoDi vïolar con carcere o con morte
La sacra testa dell'araldo mio?
Fellon! Guai se ciò fosse! A molta sceseMansuëtudin questo cor; ma un cenno,
E rïascender lo vedresti ad odioMaggior del tuo, più spaventoso, eterno!
Che dico? Bassa villania in quell'almaInebbrïata da gigante orgoglio
Non può capir. Abbietto spirto io sonoChe immaginar sì turpe fatto ardisco.
Intenerito si sarà; lung'oraColmerà di dolcissime domande
E d'onoranza il mio scudier; seguirloQui vorrà forse, o rattenuto or fia
Da momentanee cure. A mezzo soloEsser seppi magnanimo. Io medesmo,
Come la donna mia mi consigliavaIo, non un messo, a lui mover dovea.
Oh! alla mia vista uopo ad Irnando certoStato non foran più parole; in braccio
Gettato a me sariasi, e senza vaneSpiegazïoni, e dolorose, entrambo
Rïappellati ci saremmo amici.
Così tra sè il bramoso. Ed evitava,
Per nasconderle il suo perturbamento,
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Poesie scelte
di Silvio Pellico
Edizioni Buadry Parigi 1840
pagine 149 |
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Camillo Camillo Irnando
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