Ma dignitosa serbai fronte e voce;
Ed ei sognò ch'io lo schernissi. AudaciSon tue pupille, o giovine! proruppe;
Abbassale! - Non già! Timor non sente,
Risposi, di Camillo un messaggero.
- Mandotti il temerario ad insultarmi?
Riprese urlando, a far vigliacca provaDella mia pazïenza? A tentar s'io
Contaminar vo' mia illibata fama,
Tua vil pelle col mio ferro toccando,
O alle fruste segnandola? Va, stoltoIncettator di vituperi e busse;
Riporta al signor tuo, ch'uom che si penteDe' tradimenti suoi, ch'uom che desìa
L'amistà racquistar d'un generoso,
Con ambagi non parla, e schiettamenteDice: Il cammin ch'io tenni era turpezza.
A sì indegne parole arsi di sdegnoPer l'onor tuo. Via di turpezza mai
Non calcherà, mai non calcò il mio sire!
Gridai. Ruppe il mio grido, e con un fiumeDi fulminea infrenabile eloquenza,
Tutta rammemorò la sciagurataStoria del trono combattuto. E questa
Fu una trama, al dir suo, d'illustri iniquiStriscianti a piè del volgo, e lordamente
Convenuti d'illuderlo e spogliarlo.
E tu.... fremo in ridirlo.
- Io? Segui.
- Un vilePatteggiator di condivisa infamia,
E condivisi lucri.
- Ei ciò non disse!
Ei ciò non disse!
- Il giuro.
- E non troncastiLa scellerata voce entro sua gola?
- La troncai svergognandolo. E costrettoFu ad arrossire e replicar: Non dico
Ch'ei fosse, ma parea di condivisiLucri patteggiatore, e per lavarsi
Di macchia tal non bastano le ambagi.
Solennemente si ricreda, e proviChe insensato, ma mondo era il suo core;
Provi ch'egli esecrato ha le perfidieDe' nemici del re; ch'egli esecrato
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Poesie scelte
di Silvio Pellico
Edizioni Buadry Parigi 1840
pagine 149 |
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Camillo
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