D'Ildegarde all'orecchio. Ella scendeaDell'arcione, ed a' paggi sorridente,
Ma con trepido cor, dicea il suo nome.
Qual fu d'Irnando la sorpresa! AscoltoE onore a dama diniegò egli mai?
Qual pur siasi Ildegarde, ei le va incontroCon reverente cortesia, e l'adduce
Innanzi a Elina. Alzasi questa, e posaL'aurea conocchia, e di seder le accenna.
- Vicina mia gentil (prende Ildegarde
Così a parlar), da lungo tempo agognoVeder tuo dolce volto, e palesarti
Un mio desìo.
- Qual? le dimanda Elina.
- D'ottener tua amistà, di consolarmiTeco de' miei dolori.
- E che? InfeliceSei tu? Come?...
E nel troppo acceleratoImmaginar, già Elina e il cavaliero
Presumon ch'ella fugga il ritornanteCamillo forse, ch'a lor occhi un mostro
Verso tant'altri, un mostro esser dee pureVerso la sciagurata a lui consorte.
Ad Ildegarde appressansi amendue,
Ed Irnando le dice: - Il ferro mioNon fallirà, s'hai di mestier difesa.
Ma oh stupor! La soave, in altro modoChe non credean, prosegue:
- Il sol non vedeDonna di me più dal suo sposo amata,
O buona Elina, e anch'io, quando al castello
È il mio signore, ed io filo cantando,
Spesso il miro al mio fianco, ed accompagnaLa mia colla sua voce; e molte volte
Abbaian nel cortile i guinzagliatiCani pronti alla caccia, ed alla caccia
Propizio è l'aer di levi nubi sparso,
Ed ei pur meco stassi, ed al cignaleFino al seguente dì tregua consente.
Ignoto ad ambo è il tedio, o se noi colseAlcuna volta, mai non fu quand'uno
All'altro amato cor battea vicino.
Ed oh a qual segno in esso, in me, di nostra
| |
Poesie scelte
di Silvio Pellico
Edizioni Buadry Parigi 1840
pagine 149 |
|
|
Ildegarde Irnando Ildegarde Elina Ildegarde Elina Elina Ildegarde Irnando Elina
|