Che di lor favellasse. Ascondon ambeIl lor perturbamento, e sol ciascuna,
Quando al proprio castel siede romita,
Numera i giorni ed angosciata piange.
Quella dicendo: "Oh non avess'io maiConosciuto Ildegarde! Ella funesta
Forse è cagion che il mio signore è spento!"
L'altra a Dio ripetendo: "Il mio Camillo
Salva, e s'a me rapirlo è tuo decreto,
Deh ch'io presto lo segua, e per mia causaVedova Elina ed orfani i suoi figli
Ah no, non restin!"
Cede alla possanzaDel suo rammarco alfin l'inconsolata
Moglie d'Irnando, ed una sera ascesoIl solito cíglion con Ildegarde,
Donde vedeasi per più lunga trattaLa polverosa via, nè comparendo
I cavalieri, o messo alcun, prorompeAbbracciando i figliuoli in disperato
Pianto, e respinge dell'amica il bacio.
- Va, sciagurata, lasciami; a' miei figliRapisti il genitore! A me rapisti
Colui che tutto era al cor mio! Colui,
Pel qual degli avi miei la dolce terraSenza cordoglio abbandonata avea!
Viver senz'esso non poss'io: qual sorteA queste derelitte creature
Verrà serbata, dacchè al padre i ferriTolgon la vita, ed alla madre il lutto?
Voler, voler del cielo era d'Irnando
L'inimistà pel tuo fatal consorte!
Maledetto l'istante in che, ispirataDa infernal consiglier, lieta movevi
A mia ruina! Maledetto il nomeDi suora che ti diedi! -
Al furibondoGrido geme Ildegarde, e invan desìa
Trovar parole per placar l'afflitta;
Invan gli amplessi iterar tenta. OgnoraPiù duramente rigettata e carca
Di rimbrotti amarissimi, il cordoglioRispetta dell'amica, e ridiscende
Dietro a lei mestamente la collina,
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Poesie scelte
di Silvio Pellico
Edizioni Buadry Parigi 1840
pagine 149 |
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