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      Dal soverchiante numero feritiVengon que' servi, e de' vincenti in mano
      Son le ricchezze che a comprar la vitaDestinava del figlio il cieco sire.
      Intero un dì per boschi e per dirupiEi trascinato colla figlia venne,
      Ma il manto della notte ai duo infeliciPrestò propizie tenebre, e dal mezzo
      Del brïaco drappel de' masnadieriQuetamente si trassero alla valle.
      Come lontani fur dall'empia frotta,
      E ardiron favellare, il cieco strinseLa figlia al seno, e grazie alte le rese
      D'averlo addotto a salvamento, e leiPer l'accorto suo senno e per la dolce
      Filial carità ribenedisse.
      - Or dove, o padre, senza aïta alcunaCi avvïeremo?
      - O Clara mia, remotiSiam dal nostro castello, e a ritornarvi
      Il tempo mancheria; son prezïosiTutti gl'istanti; acceleriamo il passo
      Verso il campo nemico, appo le tristeDi Saluzzo rovine. O senza doni
      Compariremo anzi al tremendo sire,
      Ma sincere promesse il piegherrannoA moti di clemenza. Inoltre ho fede
      In mia canizie e in queste spente occhiaieE nel pianto che versano, e ben anco,
      Figlia, nel tuo.
      Pensava Aroldo ospizioPrender non lunge, ove la figlia al raggio
      Della luna scorgea l'amica torreD'un consanguineo sir. Ma là giugnendo,
      Odon che il giorno pria furibonda osteEra quivi passata e avea deserta
      La rocca e trucidato il castellano,
      E devastato a' villici i tugurii.
      Il negro pan de' villici dispersiPiangendo rompe colla figlia Aroldo,
      E beono alle lor tazze. Indi sen vannoPer tutti i casolari, invan cercando
      Palafreno o giumento: avean le schiereDe' nemici avidissime votata
      In que' lochi ogni stalla.


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Poesie scelte
di Silvio Pellico
Edizioni Buadry Parigi
1840 pagine 149

   





Clara Saluzzo Aroldo Aroldo