Venìa quell'opra da un clamor che il primoClamor non era, ma or fischiante or rotto
Da infami ghigni o da cupo silenzio.
A' sensi suoi creder dovea? Le cimeParean gravate de' duo legni, e il pondo
Che le gravava non scerneasi. UditoSpesso Clara ha di barbari supplizi,
Ove ad appesa vittima lo straleDrizzano i bersaglieri, ed ottïen palma.
Quei che divide dalle ciglia il teschio.
Di tai supplizi un questo fora? Oh dubbioPeggior di morte! E chi alla sbigottita
Dice s'uno colà de' morïentiL'amato suo fratello ora non sia?
Chi le dice se il passo al genitoreVietare a forza ella non debba? Ahi lassa!
E se il padre trattien, non di Ioffrido,
Che forse ancor sull'albero non pende,
Cagionerà la morte?... Ad ogni costoVadasi al fatal loco!
Il piè, tremandoIn ciò pensare, affretta. In man la mano
Della meschina Aroldo tien. - Di gelo,
Fra sè diceva, è questa man, siccomeQuella ch'io strinsi di sua madre al letto
Ove s'estinse.
Indi il vegliardo scuoteIl capo, quasi scuotere volesse
Un malaugurio, e non potea. - Di morte,
Figlia, i negri m'inseguon pensamenti.
Abbi pietà di mia vecchiaia, e i cariDetti mi porgi che tue labbra sciorre
Uniche san, quando scorato è il padre.
Nata ne' giorni di sventura, e in ermaTorre cresciuta, ove sorelle e madre
Vide spirar, sollecita a sinistriPresentimenti schiuder l'alma, è fatto
In lei religïon. Si raccapricciaIn udir che s'affaccin alla mente
Del genitore e in quest'istante i negriPensamenti di morte. A lui si volge,
Apre le labbra - e i consolanti dettiCh'uniche sciorre un dì sapean, non trova:
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Poesie scelte
di Silvio Pellico
Edizioni Buadry Parigi 1840
pagine 149 |
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Clara Ioffrido Aroldo
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