Pareggiasse anco de' miei campi avitiL'intero pregio.
- O sciagurato Aroldo,
Di qual osi tributo or favellarmi,
Se finor tutto mi negasti? È tardi.
- Tardi, o sire, non è. Seguita, è vero,
Fu da bollente figlio mio l'insegnaDe' prischi Saluzzesi e di Tommaso,
E la vittoria a tua prodezza arride.
Ma tu il fervido oprar del giovinettoDona pietosamente al supplicante
Suo genitor che in venti pugne il sangueVersò pel nobil padre tuo, quand'esso
Con tanta gloria signorìa qui tenne.
- È tardi, o vecchio, e duolmene. In te accogliTutta la forza ond'è capace il core
D'un cavalier. Sovra quel legno pendeUn trafitto cui grazia altra non posso
Conceder più che di ritorlo ai corvi,
E consentirgli de' suoi cari il pianto.
Disse, e accennando che una guardia il mortoDalla croce calasse e all'infelice
Lo rimettesse, cogli sproni un toccoDïede al cavallo e col suo stuol disparve.
Clara i sensi racquista, e oh di doloreQual novo orrendo palpito! Era dunque
Il fratel suo quel miserando ucciso!
Eccolo tolto dal funesto legno;
Ed ella il raffigura a cicatriciChe sul petto ei portava. Oh come il vecchio
E l'angosciata giovin su quel corpoS'abbandonan piangendo! Ella in lino
L'infranta testa pïamente avvolge,
E chiede aiuto ai vïandanti. A dolceCarità si commove una famiglia
Di Saluzzesi agricoltori, e datoViene un carro con bovi, onde al lontano
Castello il morto cavalier si tragga.
II.
Or da quel giorno d'ineffabil luttoRivolgiamo la mente oltre a sei lune,
E la mesta mia cantica, i solinghiPianti dell'orbo vecchio e di sua figlia
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Poesie scelte
di Silvio Pellico
Edizioni Buadry Parigi 1840
pagine 149 |
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Aroldo Saluzzesi Tommaso Saluzzesi
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