E di ragion nelle più forti lutteIo mi scagliava indomito; sognante
Che sempre indagin lumi eccelsi frutte.
Quella vita arditissima ed amanteDi scienza e di gloria e di giustizia
Alzarmi imprometteva a gioie sante.
Nè sol fremeva dell'altrui nequizia,
Ma quando reo me stesso io discopriva,
L'ore mi s'avvolgean d'onta e mestizia.
Poi dal perturbamento io risalivaA proposti elevati ed a preghiere,
Me concitando a carità più viva.
Perocchè m'avvedea ch'uom possedereStima non può di se medesmo e pace,
S'ei non calca del Bel le vie sincere.
Ma allor che fulger più parea la faceDi mia virtù, vi si mescea repente
D'innato orgoglio il luccicar fallace.
E allor Dio si scostava da mia mente,
E a gravi rischi mi traea baldanza,
Ed infelice er'io novellamente.
Se così vissi in lunga titubanza,
Ond'or vergogno, ah! tu pur sai,mio Dio,
Che tremenda cingeami ostil possanza!
Sfavillante d'ingegno il secol mio,
Ma da irreligiose ire insanito,
Parlava audace, ed ascoltaval'io.
E perocchè tra' suoi sofismi orditoPur tralucea qualche pregevol lampo,
Spesso da quelli io mi sentìa irretito.
Egli imprecando ogni maligno inciampoSciogliea della ragion laudi stupende,
Ma insiem menava di bestemmie vampo.
Ed io, come colui che intento pendeDa labbra eloquentissime e divine,
E ogni lor detto all'alma gli s'apprende;
Meditando del secol le dottrine,
Inclinava i miei sensi alcuna voltaDi servil riverenza entro il confine.
Tardi vid'io ch'a indegne colpe avvoltaEra sua sapïenza, e vidi tardi
Ch'ei debaccava per superbia stolta.
Trasvolaron frattanto i dì gagliardi
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Poesie scelte
di Silvio Pellico
Edizioni Buadry Parigi 1840
pagine 149 |
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Bel Dio Dio
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