E sul cui sen dormito ho in fanciullezza.
Ben è ver che stampata ho breve tracciaTeco, o Saluzzo, e il dì ch'io ti lasciai
A noi già lontanissimo s'affaccia.
Pargoletto ancor m'era, e mi strappaiNon senza ambascia da tue dolci sponde,
E, diviso da te, più t'apprezzai.
Perocchè più la lontananza ascondeD'amata cosa i men leggiadri aspetti,
E più forte magìa sul bello infonde.
Felice terra a me parea d'elettiLa terra di mio Padre, e mi parea
Altrove meno amanti essere i petti.
E mi sovvien ch'io mai non m'assideaSui ginocchi paterni così pago,
Come quando tuoi vanti ei mi dicea.
In me ingrandiasi ogni tua bella imago;
Del nome saluzzese io insuperbiva;
Di portarlo con laude io crescea vago.
E degl'illustri ingegni tuoi gioiva,
E numerarli mi piacea, pensandoChe in me d'onor tu non andresti priva.
Vennemi quel pensiero accompagnandoOltre i giorni infantili, allor che trassi
Al di là delle care Alpi angosciando.
Nè t'obblïai, Saluzzo, allor che i passiAll'Itale contrade io riportava,
Benchè in tue mura il capo io non posassi.
Chè il bacio de' parenti m'aspettavaNella città ch'è in Lombardia regina,
E colà con anelito io volava.
E colà vissi, e colsi la divinaFronde al suon di quel plauso generoso,
Che premia, e inebbria, e suscita, e strascina.
Oh Saluzzo! al mio giubilo orgogliosoPe' coronati miei tragici versi,
Tua memoria aggiungea gaudio nascoso.
Oh quante volte allor che in me conversiFulser gli occhi indulgenti del Lombardo,
E spirti egregi ad onorarmi fersi,
Ridissi a me con palpito gagliardoLa saluzzese cuna, e mi ridissi
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Poesie scelte
di Silvio Pellico
Edizioni Buadry Parigi 1840
pagine 149 |
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