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      Che grata a me rivolto avresti il guardo!
     
      E poi che in ogni Itala riva udissiMentovar la mia scena innamorata,
      Ed ai mesti Aristarchi io sopravvissi,
     
      L'aura vana, che fama era nomata,
      Pareami gran tesor, ma vieppiù belloPerchè a te gioia ne sarìa tornata.
     
      Mie mille ardenti vanità un flagelloOrribile di Dio ratto deluse,
      E negra carcer mi divenne ostello.
     
      Non più sorriso d'immortali Muse!
      Non più suono di plausi! e tutte vieA crescente rinomo indi precluse!
     
      Ma conforti reconditi alle mieTristezze pur il Ciel mescolar volle,
      E il cor balzommi a rimembranze pie.
     
      Del captivo l'afflitta alma s'estolleA vita di pensier, che in qualche guisa
      Il compensa di quanto uomo gli tolle.
     
      E quella vita di pensier, divisaFra le non molte più dilette cose,
      Ora è tormento ed ora imparadisa.
     
      Io fra tai mura tetre e dolorosePregava, e amava, e sentìa desto il raggio
      Del poëtar, che il cielo entro me pose.
     
      Miei carmi erano amor, prece e coraggio;
      E fra le brame ch'esprimeano, v'eraCh'essi alla cuna mia fossero omaggio.
     
      Io alla rozza, ma buona alma stranieraDel carcerier pingea miei patrii monti,
      E allor sua faccia apparìa men severa.
     
      E m'esultava il sen, quando con prontiImpeti d'amistà quel torvo sgherro
      Commosso si mostrava a' miei racconti.
     
      Pace allo spirto suo, che in mezzo al ferroUmanità serbava! A lui di certo
      Debbo s'io vivo, e a' lidi miei m'atterro.
     
      Morto o insanito io fora in quel deserto,
      Se confortato non m'avesse un coreNato di donna, e a caritade aperto.
     
      Scevra quasi or mia vita è di dolore,
      Ad Italia renduto e a' natii poggi,


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Poesie scelte
di Silvio Pellico
Edizioni Buadry Parigi
1840 pagine 149

   





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