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      Ed ordinò che si ponesse un'altra pastiglia di mirra nelle cassolette d'oro che profumavano il suo appartamento.
      Pilato, invece, alla vista di quella terribile catastrofe si strappò i capelli dalla disperazione. Si gettò di slancio sul primo cavallo che trovò nella corte, e corse dietro agli uccisori, gridando: Fermatevi, fermatevi!
      Ma egli, ahimè, s'avanzava lentamente!
      I cadaveri, i feriti, i caduti gli ostruivano la strada. Le grida di maledizione che attristavano la via, lo opprimevano. Egli riescì alla fine a calmare il furore dei soldati; ordinò che si ritirassero, e ritornò egli stesso al palazzo col cuore piagato e l'anima piena di dolore e rimorso. Entrò nella sala dei giudizii. Gli fu presentata la sentenza contro i ventidue prigionieri ch'egli aveva condannati il mattino. La rilesse, restò lungamente a riflettere, e domandò ai suoi consiglieri se la era giusta e secondo la legge. Gli risposero affermativamente.
      - Allora, disse egli, fate venire i prigionieri.
      Davanti le porte del palazzo - gli Ebrei separatisti si credevano contaminati varcando la soglia della dimora di Pilato - si stende una corte aperta, in mezzo alla quale, dacchè il palazzo d'Erode è divenuto il Pretorio Romano, è incrostato un quadrato di mosaico che segna il sito del giudizio. Noi chiamiamo quel luogo il Gabbatha. Nel mezzo del Gabbatha si alza un piccolo banco di pietra, screziato di marmi a varii colori, sopra il quale si metteva la sedia curule del pretore, quando doveva leggere la sentenza dei delinquenti.


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Memorie di Giuda
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1883 pagine 551

   





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