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      Ovunque l'anima mia s'apriva, la si urtava a quel fascino. Da quell'immagine principiò la mia corsa a traverso il passato e l'avvenire. Sopra quell'immagine mi addormentai.
      Quanto tempo durò quel sonno? Era notte ancora, o il giorno era già spuntato? Non ne sapevo nulla. Un dolore acuto mi risvegliò di soprassalto. Un topaccio cominciava a rosicchiarmi il tallone dopo aver divorato il sandalo. M'alzai. La battaglia sullo scheletro durava ancora. E nessun altro rumore arrivava fino a me.
      Diverse ore passarono ancora così. Questa fiata l'anima riposava; il corpo si lasciava andare a tutti gli spasimi. Dico tutti gli spasimi; realmente, uno li assorbiva tutti: la sete! Sentivo il sangue ribollirmi negli occhi.
      Alla fine mi parve d'udire un rumore nei corridoi della prigione; poi un passo pesante avvicinarsi, una voce brontolare sordamente, un mazzo di chiavi agitarsi, una chiave entrare nella serratura della porta contro la quale io m'appoggiava, e sentii quell'uscio aprirsi, stridere sui suoi cardini, colpirmi nelle spalle, spingermi con forza e precipitarmi in fondo alla scala.
      Allo scarso lume che filtrò da quell'apertura abbracciai in un colpo d'occhio il quadro indefinibile della mia prigione. Tutti i figli della putrefazione saltarono, fuggirono, s'arrampicarono, sguizzarono in ogni senso, ed andarono a profondarsi in una specie di voragine nera ed infetta che s'apriva spalancata in un angolo della prigione. Era uno scheletro davvero che giaceva sopra quella terra nera ed umida come quella di un pantano.


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Memorie di Giuda
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1883 pagine 551