Fuori di sè, come eravamo tutti, Antipas gridò:
- Che io possa divenire povero come Giobbe, se non accordo a questa fanciulla qualunque cosa la mi chiegga, fosse pure la metà dei miei Stati.
Salomè si fermò, ansante, palpitante, gli occhi dolci e brillanti, la bocca semichiusa, respirando non aria, ma baci. Ella scivolò sulla punta dei piedi e venne a cadere sul seno d'Antipas che le sfiorò, colla bocca i capelli.
- Di', Salomè, di', gioja mia, cosa vuoi? Un palazzo?
- No.
- Dei giojelli?
- No.
- Ami qualcuno?
- No.
- Cosa vuoi dunque? Il mio Stato per una delle tue carezze.
Salomè prese allora sovra una credenza un gran piatto d'argento, ove erano stati serviti dei dolciumi, si avvicinò ad Antipas e gli disse una parola all'orecchio. Antipas sembrò stupito.
- Domandami altra cosa, ragazza, diss'egli.
- No, rispose la giovinetta: aspetto.
- Vuoi tu la città di Tiberiade?
- No.
- Vuoi il lago di Genezareth coi suoi cento villaggi?
- No. Voglio quello che t'ho detto: ed aspetto.
Antipas sospirò. Un grido unanime si alzò dalle tavole.
- Accordato, accordato. Tutto ciò ch'ella vuole è accordato. Tu l'hai giurato, o Tetrarca.
Antipas si chinò all'orecchio d'uno dei suoi ufficiali, e gli disse alcune parole. L'ufficiale, senza mostrare la minima esitazione, prese il piatto che Salomè teneva ancora nelle mani, ed uscì.
La dolce musica ricominciò! Il silenzio era profondo fra i convitati: tutti attendevano, ansiosi e curiosi di vedere il dono domandato dalla giovane aurora. Si sarebbe detto che quella bocca, ove l'amore aveva deposto le sue ebbrezze, avesse pronunziato qualche cosa di strano e di terribile.
| |
Memorie di Giuda
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano 1883
pagine 551 |
|
|
Antipas Giobbe Stati Antipas Salomè Stato Antipas Tiberiade Genezareth Tetrarca Salomè
|