Il Rabbì avendo protestato che non aveva la forza di portare il suo legno, si pagò un contadino che s'incaricò della bisogna. Insorse contestazione tra Osea e lo scriba del pretorio a proposito della scritta che doveva essere affissa alla croce del Rabbì.
Lo scriba passò oltre, ed il corteggio si mise in cammino. Mi avvicinai a Gesù e gli susurrai all'orecchio: spera!
Egli sorrise di nuovo tristemente.
Era di costume di dare a bere ai condannati, prima di attaccarli alla croce un certo vino aromatizzato che li stordiva. Se il condannato non aveva nè un parente nè un amico per offrirgli questo beveraggio, se nessuna donna pietosa della città non compiva quest'opera di carità, il fisco somministrava il vino.
Prevedendo come il processo del Rabbì sarebbe terminato, io aveva fatto comporre un vino fortemente narcotizzato, di cui bastavano alcune lacrime per dare l'immobilità cadaverica del coma. Mandai Maria a prender codesta droga a casa mia, e col cuore lacerato dal dolore, seguii i condannati.
Quel povero affettuoso Moab mi commoveva. Egli mi chiese d'Ida. Gli risposi, per non rendergli più amari i suoi ultimi istanti, che sua madre la conduceva seco a Cafarnaum.
Il supplizio doveva aver luogo al sito ordinario, sul Golgotha.
Partendo dal palazzo d'Erode, la strada era corta. Passando sotto la torre di Davide, uscimmo dalla porta Genath, e traversammo i boschetti di mandorli, ed i giardini che coronano la fontana di Hezekiah. Sul Gareb, fuori della porta, stava il monumento del grande sacrificatore Giovanni; a pochi passi, il piccolo giardino del mio amico Giuseppe di Ramatha; ancora un po' più lontano, la piccola altura del Golgotha, arida, nuda, di pietra bianca calcare.
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Memorie di Giuda
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano 1883
pagine 551 |
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