La fisionomia collettiva della Camera, che nell'anno scorso era nello spirito mio stesso un po' confusa, si rischiara e si svela quest'anno. Ecco perchè ho ritoccato qualche ritratto, ho aggiunto qui la ruga, ho fatto lì scomparire la piega. Dodici mesi della vita politica sono un secolo. E che che se ne sia detto in contrario, non vi è nulla di così mobile e di così cangevole che la figura degli uomini di Stato. Esaminate, per esempio, il signor Minghetti dell'anno scorso al banco dei ministri, ed il signor Minghetti di quest'anno al suo banco di deputato. Egli è irriconoscibile: è un altro uomo. La stessa figura di legno del barone Ricasoli ha subito queste stimmate. La fotografia del Parlamento italiano, così ritoccata, è più finita.
Io aveva esitato a pubblicare in un volume le lettere mandate alla Presse. Io credeva da prima che questo primo Parlamento italiano fosse un Parlamento di occasione, il quale avrebbe compiuta la sua missione di proclamare l'Italia una, spedita la bisogna la più urgente, e sarebbe poi ritornato a ritemperarsi al contatto dei suoi elettori. Ma questo Parlamento mira all'immortalità. Io mi decido dunque a rivedere il mio lavoro, tradurlo, e presentarlo al pubblico a nuovo e completo. Dico completo, perchè nelle mie lettere alla Presse io non avevo parlato del centro della Camera, e ne parlo oggidì.
Ma, direte voi, voi spingete allo scioglimento della Camera; la sarà sciolta; il vostro libro diventa inutile. Sero venientibus ossa!
Niente affatto. Questo libro resta, da prima, come lavoro storico per quanto minima sia la sua importanza.
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