Conchiudo.-Il diplomatico è un gigante; l'amministratore, mediocre; l'uomo, un antitesi. Con lui non si resta giammai in un'attitudine indeterminata: gli si ubbidisce o gli si addiviene ribelle. E' non lascia menarsi dai suoi amici, non conta i suoi amici. È il pensiero d'Italia, all'estero; all'interno, ne è il cuore. Egli è l'anima sempre del Gabinetto, che in lui s'identifica, s'illusa, direbbe Dante.
Parlerò della sua politica attuale quando avrò abbozzati, a passo di carica, i suoi sette colleghi.
Quando io pubblicai il giudizio su riferito, i miei amici della sinistra mi lanciarono l'anatema, e poco mancò ch'e' non mi dessero dell'apostata. Io fui considerato come un adulatore. Cavour me ne ringraziò. Due mesi dopo, il grande ministro moriva. E l'Europa intera, e l'Italia come un sol uomo mi davano ragione. Gli avvenimenti che sono sopravenuti hanno confermate le mie appreziazioni.
Si può, in questo momento, misurare un lembo, calcolare un lato dell'opera del conte di Cavour. Basta ravvicinare i due estremi: donde partì, vale a dire, e dove fermò il suo passo, colpito dalla morte.
Egli trovò il Piemonte - dopo Novara! - egli lascia l'Italia - dopo il Volturno e Gaeta.
Quantunque è stato fatto nell'intervallo, è stata opera sua, o egli ajutando. Egli ha sempre marciato in avanti; ed anche allorquando seguì al rimorchio gli avvenimenti che lo soverchiarono, anche quando lasciossi scappare l'iniziativa, la sua parte di secondo ordine non era che apparente. Un dubbio gravita ora sulla sua tomba.
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