L'eredità ch'egli ha lasciata non è imbrogliata, ma la gestione n'è difficile. Egli aveva messo in movimento l'energia italiana sotto tutte le sue forme - una parte per agire di concerto con lui, una parte per resistergli. Tutte le file gruppate nella sua mano rispondevano ad una delle funzioni della vita italiana. Lui morto, una specie di paralisi ha invaso il corpo sociale della Penisola. Si è creduto perfino inutile di resistere, di attaccare il potere. L'Italia si fa; ma forse più per gli errori dei suoi nemici che per l'iniziativa ed il concorso dei suoi amici. Vivente Cavour era l'inverso.
Il posto vuoto ch'egli ha lasciato resta inoccupato tuttavia. Le linee ch'egli aveva tracciate sono religiosamente seguite; ma il pensiero che poteva modificarle, dar loro la vita, farle deviare onde evitare un ostacolo, quel pensiero non è più - -non lo lasciò in eredità ad alcuno. Si traducono le sue idee liberamente - ma esse cominciano già a non essere più dell'epoca nostra. Sono la storia.
La potenza del genio del conte di Cavour si riassume in questo: che egli indovinò l'anima della nazione, e, forte di quest'appoggio morale e latente, plenipotenziario dell'Italia possibile - vale a dire dell'Italia del popolo - egli agì nel mondo officiale e la fece sentire all'Europa, non quale era, ma quale poteva essere. Piemontese, il conte di Cavour applicò tutte le risorse del suo spirito per vendicare la rotta di Novara. Italiano, egli si servì dello spirito rivoluzionario - tradizionale in Italia - per compiere la più grande opera di conservazione che si sia fatta dopo il congresso di Munster - il principio della ponderazione dell'Europa sulla base delle frontiere naturali.
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