Ciò avrebbe potuto cagionare degli stiracchiamenti, imbarazzare la marcia del conte di Cavour; e quest'uomo di Stato non si crea mica degli ostacoli inutili, i membri del Gabinetto sono degli uomini d'affari, la di cui personalità, per considerevole ch'esser possa, non potrà giammai provocare un dualismo, funesto in questo momento all'Italia.
La politica italiana - qualunque essa si sia - è tutta di un pezzo. Un sol uomo l'ha concepita, un sol uomo la mena, ed egli ha la confidenza dell'Europa. Il conte di Cavour è investito della dittatura dalla maggioranza legale della nazione, ed il Re stesso, il quale è probabilmente italiano altrettanto che Cavour - vi si rassegna - con più o meno di buona grazia - e ne raccoglie candidamente i frutti.
L'individuo, nondimeno, lo più spiccato nel Consiglio, dopo il presidente, è il signor Minghetti, ministro dell'interno. Il signor Minghetti, bolognese, ha 48 anni; è alto, biondo, ha fisionomia mobile, ha maniere cortesi. Egli fece la sua apparizione nel mondo politico sotto la protezione del signor Berti-Pichat, presidente della società agricola delle Romagne. Ei si applicò agli studi economici, e pubblicò un libro commendevole, intitolato Saggi di economia politica. Poi, nel 1847, egli fu dei più vigorosi collaboratori del Felsineo, giornale mellifluo che predicava la dottrina di Gioberti e di Pellegrino Rossi. Poco dopò il signor Minghetti si recò a Roma, attirato dall'ambizione e dalla sua confidenza nelle velleità di riforma manifestate da Pio IX, ed il Santo, padre lo nominò, in effetto, ministro dei lavori pubblici nel suo primo ministero laico.
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