La verità è questa qui. L'Italia è più rivoluzionaria che il Governo, essa è più in là con Ratazzi che in qua con Minghetti; ma gli uomini di questi partiti non hanno principii esclusivi e cederebbero alle convenienze della politica generale.
Il commendatore Ratazzi, il quale è il meno avanzato degli anzidetti tre uomini politici, sarebbe forse il più sostenuto, perchè egli sa che l'ora sua è inevitabilmente segnata ed egli non esordisce oggidì.
Il generale Alfonso Lamarmora non è che un soldato, e niente più che un buon soldato. La politica è per lui del chinese. Egli si è ravvicinato non ha guari all'Italia, come Ratazzi, a quell'Italia, che sino al 1859 essi consideravano, da bravi Piemontesi, come un delirio mazziniano, un'utopia infelice. Ora la s'intendono a meraviglia con la nuova venuta - dicesi!
Il generale Lamarmora fece la sua carriera senza favori. Uscito luogotenente dal collegio militare nel 1823, non fu nominato generale che nel 1848, dopo la guerra di Lombardia, in seguito della disfatta di Custoza. Lamarmora si era trovato agli affari di Monzambano, Borghetto, Taleggio, Peschiera, di guisa che era stato decorato di una medaglia in oro. Egli aveva eseguito quella magnifica diversione di Pastrengo, la quale cangiò in vittoria la disfatta dei Piemontesi.
Così si fanno i generali seri.
Paragonate queste lente, lunghe, difficili, stentate, contrastate promozioni con quelle di taluni dell'esercito meridionale, e comprenderete la repugnanza alla fusione che risente l'esercito regolare.
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