Pepoli fu quindi membro della Costituente delle Romagne; poi ministro delle finanze dell'Emilia, quindi commissario regio nell'Umbria, ove spiegō un vero ingegno amministrativo. Egli č stato il solo in mezzo a quel nugolo di luogotenenti, prodittatori, dittatori, consiglieri, governatori e segretari generali spediti nelle provincie conquistate, annesse o datesi, il solissimo che siasi davvero rivelato. Egli č stato il solo che abbia fatto qualche cosa, e sopra tutto fatto a proposito. Se avessero operato altrettanto in Sicilia ed a Napoli, non si avrebbero adesso a deplorare quegli stiracchiamenti, quei sobbalzi, quegli espedienti infelici che danno il mal di mare a quelle provincie.
Il marchese Popoli cova con amore il portafoglio delle finanze del Regno d'Italia, ed avrebbe finito per ottenerlo anche col conte di Cavour, il quale non era al postutto un diavolo cosė tristo e cosė intrattabile come lo si avrebbe voluto far credere. Pepoli professa oggi dei principii che lambiscono quasi il radicale, come tutti i pretendenti. Ma, nel fondo, č egli forse cosė sensatamente conservatore come Ratazzi e Cavour. La mercanzia dei tre č la stessa; la bandiera che la copre spiega colori pių o meno brillanti. Questa č del resto la storia di tutti i Governi parlamentari - dir rosso quando si aspira, e bianco quando si č arrivati.
Il marchese Pepoli si č mostrato oratore in tre o quattro discorsi capitali che ha pronunziati al Parlamento - senza spanto inutile, ma sobrio, sodo, autorevole, pieno di fatti e sempre liberale.
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