Un imperatore romano le uccideva: Mancini apre la finestra per lasciarle volar via, o apre la porta onde cacciarle dentro la stanza del suo vicino. Uomo d'ingegno pronto e vivo, di parola facile, di coscienza larga, di carattere compagnevole e non egoista, onesto e liberale, vano ma non puerile, anzi modesto nella vanità, sibarita di buona compagnia, senza fiele e senza rancori; più studioso di parere che di essere, più credulo che cospiratore, abindolato dai consorti, ma di costoro per ogni verso ripugnante ed in tutto superiore, fresco e roseo come una pasqua, inanellato come un cheruhino di villaggio.... tale è il commendatore Mancini - fra non guari conte del Regno d'Italia. A Mancini mancano due cose per essere ministro: la tempra forte e la pratica. Questa l'avrà presto: quella non mai. Sarà dunque un ministro ad uso del Parlamento, ma non mai un ministro.
Conforti, con talune tinte più fosche, riproduce parecchi di questi tratti. Per Conforti la parola non ha altro ufficio che quello cui le attribuiva Talleyrand, dissimulare le proprie idee, o servire il proprio intendimento. Questa parola è fluente, flessibile, ornata, simpatica, talvolta un po' gonfia. Conforti è certo uno dei migliori oratori della Camera: ma ha il buon gusto di non prodigarsi. Egli è stato ministro a Napoli di Ferdinando II, di Garibaldi, di Vittorio Emanuele. Non ha lasciato desiderio di rivederlo; ma neppure repulsione, nè la mala fama che contaminò altri. Gli fe' torto l'agognare a popolarità, prodigando cariche ad immeritevoli: non lo si accusò di nepotismo.
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