Ahimè! non dovevamo più rivederla.
Ecco ciò che avvenne.
Mia madre restò tre giorni prima di portar da mangiare e da bere al prigioniero. Ella era spaventata dai sordi ruggiti che risuonavano incessantemente alle sue orecchie, e dal rumore che udiva, poichè il colonnello rotolava e si batteva a tutti gli angoli, a tutti gli utensili della cantina. Finalmente il terzo giorno ella discese, per obbedire agli ordini di suo marito. Il colonnello non era riuscito a slegarsi. Ma la corda penetrava nella carne ai polsi e martorizzava terribilmente le cavicchie. Sembrava talmente esausto, che udendo avvicinarsi mia madre, diede solo un debole gemito. Mia madre temette per un momento ch'egli non rendesse l'ultimo sospiro. Poggiò il lume sopra l'ultimo gradino della scala, andò verso quell'uomo, accovacciato dietro un barile. Aveva la brocca ed il tozzo nelle mani. Glieli mostrò, e gli disse:
- Mangiate e bevete.
Stese le due mani nell'istesso tempo, lasciandogli la scelta di mangiare innanzi di bere, o di bere innanzi di mangiare. La testa del colonnello era spinta indietro, livida, quasi nera, il collo torto, le vene gonfie come due gomene; gli occhi suoi parevano due macchie di sangue; la bocca, pure insanguinata, restava aperta. La corda, che gli passava attorno al collo, avanti di legare i piedi e le mani, aveva roso la cravatta e intaccato la carne. La respirazione sembrava soffocata. Mia madre n'ebbe pietà. Essa prendeva nella sua tasca un piccolo coltello per recidere quella corda, allorchè senti afferrare la sua mano.
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