I villaggi d'Ungheria sono una specie di Venezia. In mezzo ad ogni strada, corre, o piuttosto s'impantana una pozzanghera, un ruscello, una cloaca, che si traversa sopra dei ponti fissi o mobili, ed ove sguazzano delle oche, delle anitre e dei porci mostruosi. Delle belle vacche bianche, civettelle, si fermavano sulle rive, e stupivano di vedervisi così brutte. La giovinetta, che mi aveva involontariamente coperto di quel fango infetto, era la figliuola del principe, arrivata da un collegio di Vienna il giorno innanzi, per passar le vacanze nel castello di suo padre. Io non l'aveva, potuta vedere. La dicevano sorprendentemente bella e capricciosa. Ella andava a caccia in un piccolo bosco riservato nei dominii di suo padre, un'oasi di quercie, di pini, d'olmi, in mezzo a quella interminabile pianura dell'Ungheria, ove queste foreste in miniatura sono rare come le isole dell'Atlantico.
La cavalcata passò come una freccia.
Tutti, sapendomi un po' civettuolo, risero della mia disgrazia. Rientrai in casa per pulirmi. Poi mi venne una voglia, una voglia irresistibile: vedere quella giovine castellana! Mi armai, non so perchè, del fucile di mio padre, e mi slanciai nei campi verso il piccolo bosco. In breve vi arrivai. Cacciavano di già: lo scoppiettio della fucilata me ne avvertiva. Io scavalcai la siepe, e mi rannicchiai dietro un albero in una specie di viale che la cacciatrice doveva senza dubbio traversare da un momento all'altro. Poco dopo, effettivamente, un rumore di galoppo risuonò dietro di me.
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