- Non vi fidate di lui, mi disse alla sera la contessa. Egli medita un colpo. Non so quale, ma un tradimento, sicuro.
- Vi è pericolo per voi, signora?
- Non so. Vegliate su me.
Questo "vegliate su me" era la confessione che io attendeva da sei mesi. Ella sapeva che io l'amava come un forsennato, e mi tacevo. Suo marito, egli stesso, mi pareva sospettasse la mia passione. La contessa non aveva fatto nulla per incoraggiarmi, ma io aveva indovinato che il mio amore l'aveva tocca, e che forse meco lo divideva. Come era bella, Dio mio, quando il suo guardo inebbriato posava su di me, e mi avviluppava di un'aureola luminosa!
Partimmo in mezzo agli applausi di tutti gli abitanti di quella città; le donne ci inviavano dei baci, i vecchi delle benedizioni, i giovani degli augurii. Il colonnello si tenne sempre alla coda del reggimento, sotto il pretesto di star vicino a sua moglie, che ci seguiva a cavallo. Mi fe' restare presso di sè, onde trasmettere al reggimento i suoi ordini in ungherese, lingua ch'egli non parlava. Arrivammo al Dniester. Pioveva da tre giorni: il fiume era ingrossato e torbido. Bisognava traversarlo a nuoto. Il primo squadrone vi si lanciò; il terzo lo seguì. Il colonnello non si mosse. Quando tutti furono all'altra riva, egli afferrò con violenza la briglia del cavallo di sua moglie, dicendole:
- Seguimi.
- Soccorso! gridò la contessa, strappandogli dalle mani la briglia.
M'interposi.
- La signora contessa vuol ella continuare il viaggio verso la sua contrada? le domandai.
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Dio Dniester
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