L'agitazione delle due città era al colmo. Il general Lamberg la sfidò.
Egli dimorava in un albergo di Buda. Il mattino, prese una vettura, e si fece condurre a Pesth presso Giorgio Mailath giudice del regno. Proprio in quel momento noi avevamo attraversato Buda in mezzo alle frenetiche acclamazioni di una folla immensa e di un popolo intero, armato di falci, di cui s'era impadronito in un pubblico deposito. La nostra vista raddoppiò il loro entusiasmo e la loro esasperazione.
Io mi separai dai miei compagni, perchè la contessa mi aveva pregato di accompagnarla alla sua casa. Io ero divenuto pallido, ma avevo obbedito. Essa andava da suo padre. Alla porta del magnate, volli ritirarmi, e colla disperazione nella voce le dissi addio. Ella mi ordinò di salire con lei. Quando fummo nel salotto, la mi disse:
- Signor Zapolyi, attendetemi un istante, voglio presentarvi a mio padre.
- Al principe Nyraczi?
- Al principe Nyraczi.
- Giammai.
- Perchè dunque, di grazia?
- Perchè, signora, io sono il figlio di Paolo Nagy. Io sono quel giovine disonorato, al quale vostro padre fece dare ventiquattro colpi di frusta pel delitto commesso... di aver cercato di vedervi. Non l'ho mai perdonato.
Amelia si lasciò cadere sopra una seggiola, e sembrò abbattuta. Io restai in piedi, credendo vedere lo spettro di mio padre appiccato che mi gridava: vendetta! D'un tratto la contessa si alzò, si slanciò a me d'incontro, le braccia aperte, e sclamò:
- Maurizio, io t'amo.
Da quel momento ho creduto alle visioni del paradiso.
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