La nostra causa era seriamente minacciata, la patria seriamente in pericolo. Il Comitato di difesa, che concentrava nelle sue mani tutto il potere esecutivo, si mostrò all'altezza della sua missione; e Kossuth, che lo riassumeva tutto, riempiva già della sua persona tutta l'ombra che aveva lasciata la Casa di Absburgo, ritirandosi. Si domandarono delle nuove leve di honved - difensori della patria - , e si ebbero più uomini che non s'avessero armi. Si creò una cavalleria, un'artiglieria. I capi tiepidi, incapaci, dubbiosi, furono surrogati: Damjanich prese il posto di Kiss al Sud, Görgey quello di Moga al Nord; Windischgraetz si mise in moto. Io aveva ottenuto un brevetto di capitano nel mio reggimento, che era stato completato per supplire ai quattro squadroni che, trovandosi in Boemia, non eran riesciti ad evadersi come noi. Io comandava il settimo squadrone staccato presso l'esercito del nord. Görgey mi nominò suo aiutante di campo. Kossuth, consegnando il comando in capo dell'esercito del Nord al maggiore Görgey, aveva detto all'Assemblea: "Ho tirato un buon numero dall'urna del destino!" Ahimè! Kossuth aveva letto quel numero a rovescio. Io non aveva ancor veduto Görgey. Avevo applaudito quando egli, eseguendo l'ordine del Consiglio di guerra di Csepel, aveva fatto impiccare il conte Zichy che, andando incontro a Jellachich, aveva introdotto l'inimico nella patria. Ma concepii tosto dei dubbi sul suo carattere quando, essendosi disgustato col suo capo Maurizio Perczel, riescì a farlo passare come incapace, e si fece attribuire il merito della presa del corpo di Roth e Philippovich.
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