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      La traversavo adesso, coll'amore nell'anima, colla speranza che cantava nei miei sogni, in cerca di gloria. Sotto il cielo basso, fosco, carico di neve che cadeva a larghi fiocchi e che talvolta si polverizzava sotto l'impeto d'un vento turbinoso, oh come io ricordava che tutto, quattro anni prima, era morto! Il contadino era servo, il signore soggetto. L'Austria era qualcosa di tenebroso, di misterioso, lontana, ma sacra ed inviolabile, le ciglia corrucciate e cariche di minaccie. Se ne parlava a bassa voce e volgendo il capo da un'altra parte. La donna si occupava della sua casa. La ragazza, tutta infettucciata, pensava al primo bacio che aveva ricevuto, al primo bacio che ella aspettava. Il bambino giuocava rotolandosi nel pantano col porcellino, o si arruffava colle oche. L'aria era muta, o risuonava di monotoni ritornelli. La sciabola e la penna erano oggetti di addobbo. L'ebreo odiava. Il prete cattolico mirava a Vienna ed a Roma.
      Ora, il vassallo è uguale al suo padrone, e non paga più tributo; il padrone è cittadino. L'Austria batte, ma il suo prestigio è morto. Il nome di santa patria fa risuonare tutti gli echi. L'Ungherese si batte contro il soldato imperiale, come si batteva una volta contro il Turco. La donna cuce la tunica del suo marito, dei suoi figliuoli, che si arruolano negli honved, attende le notizie dell'esercito, scrive quelle del villaggio o della casa ai suoi cari, spera, prega, piange, teme, si rallegra. La ragazza è ansiosa per le battaglie, ove è il suo amoroso, o dove andrà domani il suo fidanzato.


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Le notti degli emigrati a Londra
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1872 pagine 346

   





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