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      Il fanciullo giuoca al soldato. Gli ebrei, i preti cattolici benedicono la patria, hanno una patria.
      Il mio viaggio in mezzo alla puszta, malgrado la solitudine dell'inverno, malgrado l'oscurità della notte, mi parve una festa. Incontravo dovunque, notte e giorno, delle bande di cittadini che andavano ad arrolarsi come volontarii, o a rispondere alla chiamata come coscritti. Dappertutto un sorriso, in nessun luogo il cadavere della speranza colpita a morte dall'insuccesso. In ogni soffio d'aria ove un uomo aveva respirato, una strofa ardente di Petöfy. Ovunque, delle sciabole, dei pennacchi, dei vaghi vestiti per festeggiare la lotta. Felice chi aveva un fucile od una pistola: tutti avevano un cuore. Felice chi mi poteva ricevere nella sua capanna. Dico capanna: il castello, ahimè! era un altro affare. Una parola che io gettava, passando di galoppo nei villaggi, si propagava di campanile in campanile. Lo scampanío rispondeva alla campana a martello. Ove io gettava un grido, germogliavano soldati.
      Incontrai le prime colonne dell'esercito del Sud, che il Governo chiamava a difesa della linea della Tisza. Strinsi la mano a Damjanich, colui che Klapka chiama l'uomo di ferro, l'energico comandante delle formidabili berrette rosse, il 9.° honved. Lasciando il Banato, egli diresse ai Serbi un proclama, in cui loro ordinava di starsene tranquilli, durante la sua assenza, e di rispettare uomini e proprietà, Magiari o Tedeschi, e concludeva:
      Se vi accadesse di non fare alcun caso delle mie esortazioni, se persisteste nei vostri conati sanguinarii e liberticidi, io vi giuro che devasterò le vostre contrade, e v'inseguirò fino a che esisterà sul suolo ungherese un solo Serbo; e allora, perchè non resti in Ungheria la menoma traccia della vostra razza traditora, ucciderò me pure


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Le notti degli emigrati a Londra
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1872 pagine 346

   





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