Io mi spinsi avanti colla paura della disperazione, calpestando sotto i piedi amici e nemici onde arrivare sino a lei. La siepe si faceva più fitta. Cadaveri e viventi ostruivano lo stretto passaggio, che io aveva a varcare.
Il principe Nyraczi fu più fortunato di me. Io lo credetti almeno per un istante, vedendolo accorrere dall'altra estremità della gola, quasi al galoppo, abbattendo come spighe, sotto la sua vecchia sciabola, tutti quelli che incontrava.
Egli non aveva più ottant'anni. Il pericolo cui correva la vita e soprattutto l'onore di sua figlia gli dava una nuova giovinezza. Giunse alfine. Giunse nel momento in cui il cavallo d'Amelia cedeva sotto di lei, ed i Cosacchi piombavano sulla loro preda, come un branco di pesci-cani sopra una persona caduta in mare. Il principe la vide sparire e parve disperato, poichè tirò una pistola dai suoi arcioni. Tuttavolta, per un istante, la mischia si calmò. Egli la vide, e la vidi io pure, quasi nuda ormai sotto quelle mani immonde. Il principe non ebbe che un secondo di quella vista orrenda, che a me parve un'eternità. Ciò bastò. Armò, puntò la sua pistola, mirò, tirò un colpo, e sua figlia cadde all'indietro colla testa franta da una palla. I Cosacchi, non sapendo d'onde venisse quel colpo, si rialzarono. Il principe Nyraczi sembrava un gigante ritto sulle staffe, la mano ancora tesa, lo sguardo profondo, fisso, perduto, spaventevole. Egli faceva paura.
- Sono con voi, sono con voi, gli gridai da lontano. Tenete fermo ancora un minuto.
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