Mio nonno, anch'egli molto vecchio, era morto il 25 febbrajo 1831 alla battaglia di Grochow, ove l'armata polacca lottò tre giorni contro la russa. Mio padre era stato impiccato nel 1848, dopo una di quelle cospirazioni tenebrose, che intorbidarono sì di sovente l'olimpico regno dell'imperatore Niccolò. Egli lasciava due figli: il primogenito, ch'era io, e mio fratello Casimiro, più giovane di due anni.
La storia della mia famiglia, di cui non ho ricordato che la fine dei tre suoi ultimi capi, indicava la nostra probabile sorte.
Quando si nasce sotto un Governo col quale si è sicuri di trovarsi tosto o tardi in lotta, bisogna prepararvisi e stare in guardia. È ciò che pensò nostra madre. Il cómpito non era difficile, e non occorreva del genio per definirlo.
Ciò che guasta i caratteri, e per contraccolpo consolida le tirannie, è la mancanza di abitudine nel sopportare il dolor fisico; è lo sbigottimento subito, che ci colpisce in presenza dei fenomeni, dei fatti morali. Abituare il corpo alle sofferenze e lo spirito ad ogni sorta di urto, gli è rendersi padroni del timone della vita.
- La prospettiva che vi si apre dinanzi, ci disse nostra madre, quando apprese come era morto nostro padre, si riassume in questo: morire combattendo; morire sopra un patibolo, o sotto il knut; perire in Siberia. Non c'è esempio che un conte di Lowanowicz sia morto per la mano di Dio. Bisogna dunque prepararvi, non già alla morte, che non è nulla, ma a subire con sguardo sicuro, con cuore virile, le ansie terribili che la precedono.
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