Era l'anniversario della battaglia di Grochow. La giornata apparve cupa e caliginosa. La neve era caduta durante la notte, le strade n'erano bianche. Nessuna parola d'ordine era stata data, perocchè non v'era presso di noi, come in Italia, un Comitato che regolasse i battiti del cuore nazionale, per ordine, ad ora fissa, con uno scopo determinato. L'anima della Polonia è omogenea: i Polacchi sentono all'unisono. Per un impulso spontaneo, ognuno pensò che bisognava in quel dì pregare per coloro che erano morti per la patria. Cinquantamila persone si trovarono quindi nelle vie, animati dall'istessa idea, fiancheggiandosi e seguendosi. Una processione si formò naturalmente. Si comperarono dei ceri per via. Una bandiera coll'aquila bianca, sboccando non si sa donde, si pose alla testa del corteggio. Tutto un popolo con una sola voce, nell'istesso momento, intuonò l'inno Swiety Boze:
Dio santo, Dio possente, abbiate pietà di noi, degnatevi di renderci la nostra patria; Santa Vergine Maria, regina di Polonia, pregate per noi!
Nessun disordine. Nessun grido sedizioso. Nessuna disposizione ostile. Neppur l'ombra di un'arma. Non un viso aggressivo. Tutto ad un tratto, il colonnello Trepow, capo della polizia, si mostra seguito da due squadroni di gendarmi. La folla cade in ginocchio, e continua a cantare. I soldati si precipitano su quella massa compatta, e sciabolano alla cieca.
Un centinajo di persone caddero morte o ferite.
Io era là. Mia madre toccò una ferita al braccio. Io aveva un revolver in tasca, e restai calmo.
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