I Russi ci aspettavano. L'urto fu violento. Ma io non aveva ancor fatto che pochi passi, non avevo ancora tirato un colpo di revolver, nè dato un colpo di sciabola, che un dragone di Kargopot, del granduca Costantino, si avvisò di spaccarmi il cranio per di dietro e aprirmelo come una melagrana. Caddi da cavallo. Fui pigiato per due ore. I Polacchi furono muti. L'azione, mi fu detto, era stata delle più sanguinose e delle più drammatiche. Le perdite dei Polacchi erano state considerevoli, aggiungevano i Russi. Gli abitanti si lagnavano acerbamente della maniera colla quale questi celebrarono la loro vittoria, a spese della città devota ai Polacchi. Tutto ciò può esser vero. Avvenne così in ogni tempo, avviene ancora oggidì in ogni sito dove sono stati e sono soldati, guerra, vittorie e borghesi pacifici.
Quanto a me, non rinvenni che tardi nella sera, e mi trovai steso sopra un po' di paglia, nell'angolo di un magazzino, in compagnia di diversi altri più o meno malconci come me, Russi e Polacchi, misti insieme. Mi avevano avviluppato il capo con una fascia a guisa di turbante. Mi avevano alleggerito della borsa, dell'orologio e del portafogli. La fu per me una circostanza fortunata. Avevo nel mio taccuino delle carte di visita col mio nome ed indirizzo. Il mio nome ricordò immediatamente quello di mio fratello, aiutante di campo di Costantino, e quindi molto conosciuto nell'esercito russo in Polonia. Non fui dunque niente meravigliato di vedere al mio capezzale, alle dieci di sera, l'eroe della giornata, il maggiore Semenow in persona, un poco male in gambe, poichè levavasi di tavola, e veniva ad informarsi se io era parente del conte Casimiro Lawanowicz, aiutante di campo favorito di S. A. I. il granduca luogotenente.
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