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      Viaggiavamo notte e giorno, cangiando di tempo in tempo i gendarmi. Le notti divenivano fresche, soprattutto verso l'alba, e quasi(19) sempre umide. La nebbia, che c'investiva il mattino, ci lasciava quasi sempre bagnati. Il capitano Krünn temeva che io ne soffrissi, vedendomi così delicato, di un aspetto quasi femmineo. Imperciocchè il cielo della Siberia non mi aveva dato ancora la tinta virile, che mi osservate oggidì. Il bleu dei miei occhi si è addensato sotto l'ardente riverbero dei ghiacci del paese degli Tsciuktscias; la lanugine dorata, che copriva le mie labbra, è divenuta baffi biondi; la bianchezza diafana della pelle si è abbronzata sotto l'alito dei venti del mare del polo; la vita snella e fine si è ingrossata e fortificata sotto le strette del lavoro. Ma, a quell'epoca, si sarebbe detto che io fossi una amazzone, che lasciavasi andare ai capricci del viaggiare. Vestivo la tunica grigia degl'insorti e portavo una specie di kepì rosso orlato di nero.
      Bisogna aver viaggiato in Polonia od in Russia per aver un'idea della celerità che può raggiungere una vettura a cavalli. Avremmo potuto percorrere duecento verste (chilometri) al giorno, con una rapidità vertiginosa, se io non avessi pregato il capitano Krünn di moderare il corso del nostro leggero veicolo. Le manette e le catene mi facevano soffrire orribilmente, e risentivo nel capo i balzi prodigiosi e gli sbattimenti amorosi della kibitka. In certi momenti parevami divenir pazzo, talmente il sangue, che mi affluiva alla testa, mi dava delle allucinazioni, delle vertigini, dei miraggi fantastici.


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Le notti degli emigrati a Londra
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1872 pagine 346

   





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