Mio fratello seguiva a due passi l'ispettore. Udì la mia risposta, e non rispose. Scorsero due minuti o tre. Forse ei rifletteva, esitava; poi udii il tintinnio dei suoi speroni risuonare lentamente ed allontanarsi. Piegai il capo fra le mani, ed i miei occhi si inumidirono.
L'indomani non fui chiamato dinanzi alla Commissione dello stato d'assedio, e ne seppi più tardi la ragione. Il granduca Costantino, il quale non era poi un diavolo così nero come lo si è voluto dipingere, era stato informato del mio interrogatorio e della spiegazione umoristica che io aveva dato sul documento principale dell'istruzione contro di me: lo scritto in cifra! Il granduca aveva sorriso della gherminella, che io giuocava alla giustizia russa, ma aveva, in pari tempo, ordinato che una Commissione di calligrafi emettesse la sua opinione su quel curioso geroglifico. Nondimeno, mio fratello era spaventato, non della sorte finale che mi aspettava, non dubitando punto che io saprei morire, ma delle sofferenze orribili che io doveva traversare prima di annientarmi nella morte. Egli non temeva che io mi disonorassi con una confessione estorta dal dolore: sapeva che io mi sarei mozzata la lingua co' miei denti, e l'avrei inghiottita piuttosto che parlare; ma egli avrebbe voluto raddolcire la mia via crucis, e presentare dinanzi ai miei occhi quell'estasi che nascondeva ai martiri il supplizio. Implorò dal granduca che mia madre potesse visitarmi. Il granduca aveva accordato allora tale permesso alla madre del mio compagno di carcere; e consentì. L'ispettore aveva dunque accompagnata la madre di Zoliwski, quando, sul cader della notte, accompagnò ed introdusse anche la mia nella muda.
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Commissione Costantino Commissione Zoliwski
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