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      Io mi era fatto più piccino che avevo potuto, e mi ero rannicchiato in un angolo della secreta, per non turbare il mistero sacro del colloquio, forse l'ultimo, del mio compagno con sua madre. Avrei voluto convincerli che io era cieco e sordo, per non isgomentare il loro dolore, per non soffocare i loro lamenti, - i lamenti sono di rado eroici - , per lasciare ogni libertà alle loro confidenze, all'effusione delle loro anime. Fui spaventato del dolore infinito di quei due esseri, dolore che non ebbe neppure un grido! La madre cadde in ginocchio presso il corpo del suo figliuolo, le loro bocche si avvicinarono, le loro lagrime si confusero. Non dissero una parola. Che cosa avevano a dirsi, del resto? La madre sapeva che il figlio doveva in breve morire sotto le verghe, in una spaventevole agonia; il figlio sapeva che la madre non gli sopravviverebbe. Mia madre arrivò.
      Mia madre era donna d'altra tempra. Ella aveva il carattere forte, ma drammatico. Sarebbe stata grande e nobile nella ristretta cerchia della famiglia; ma sostenere una parte la seduceva: ricoprire l'intera nazione col velo delle sue disgrazie, era il suo sogno. La sua tenerezza verso di me non aveva limiti; ma avrebbe creduto derogare al suo carattere, se l'avesse lasciata vedere, ed ella fosse apparsa più madre che Polacca. Nullaostante mi strinse fra le sue braccia, ed io sentii per la prima volta l'atrocità delle manette, non potendola stringere fra le mie. La mia presenza nel carcere aveva forse intimidito la madre di Zoliwski.


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Le notti degli emigrati a Londra
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1872 pagine 346

   





Polacca Zoliwski