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      Io passava le mie sere in casa sua, e vi portavo la gaiezza con la musica, le caricature, le sciarade in azione che improvvisavamo, le partite di scacchi o di picchetto. Il generale mi trattava con affabilità, ma io non obbliai giammai che io era un forzato, onde non farmelo ricordare, se per avventura mi permettessi o lasciassi prendere un po' di dimestichezza. Il contegno dalla mia parte gli imponeva rispetto. Organizzammo perfino qualche balletto, quantunque le signore non fossero numerose a Jakutsk. La siberienne, al suono del gouzli, specie di salterio, ci mise sovente in vena di cancan. Ma io non condussi giammai Cesara con me. Chi avrebbe creduto ch'essa non mi fosse altro che una sorella? La feci passare per tisicuzza, onde giustificare il suo ritiro. Io divenni dunque indispensabile pel generale e per le sue figlie; troppo forse, perchè l'uno e le altre mi pigliavano il tempo di cui io avevo mestieri per lavorare ai miei apparecchi.
      Non potendo più evadermi questo anno, io aveva aggiornata la nostra partenza al mese di novembre 1865: in novembre, perocchè, tutto calcolato, l'inverno eliminava gli ostacoli insormontabili. A quell'epoca dell'anno, gli stagni, i fiumi sono gelati; le foglie degli alberi nelle foreste sono cadute, e tutto il paese è divenuto una strada. Io poteva allora correr dritto dinanzi a me, senza seguire i tragitti governativi. Potevo risparmiarmi di passare per le case di rifugio, le stazioni, ed evitare sopra tutto gli ostrogs - posti di Cosacchi disseminati nella contrada, piccole fortezze perdute in mezzo alle nevi - senza parlare degli altri agenti della polizia russa, pronti sempre a dimandar passaporti ed estorcere mancie.


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Le notti degli emigrati a Londra
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1872 pagine 346

   





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