Quanto a me, un abito di forte rascia sotto un astuccio di pelle di renna che mi copriva dalla testa ai piedi, a mo' dei Jakuti, un chest-protector di pelle di volpe sul petto, una specie di pelliccia, un berretto a pelo, bastavano, credeva io, per preservarmi contro un freddo di 50 gradi. Poi, dei grossi guanti, due paia di usatti di pelle di lepre dentro lunghi stivali tuffati essi stessi entro dei chiravar di pelle di orso, compievano l'abbigliamento.
Cesara cucì per lei tre vestiti di flanella, sovrapposti l'uno all'altro, adattati alla pelle; su questa epidermide di flanella una camicia di pelle di renna col pelo dentro, tinta a rosso con la corteccia dell'ontano; un abito di pelle di volpe sotto un altro di pelle d'orso camosciata, col pelo dentro anch'essa: sopra tutto ciò due pellicce. Coricata nella slitta, imbacuccata così, coverta di pelle d'orso, Cesara poteva sfidare i freddi polari i più selvaggi. Ciò era l'essenziale. Se trovavamo per via delle yurte d'indigeni, potevamo poi dimandar loro un ricovero per le ore di riposo; se le yurte mancavano, la si sarebbe restata coricata nella slitta, guarentita contro tutte le intemperie, o sotto la pologue - piccola tenda in pelle di renna di due metri quadrati sopra tre di altezza, che io avvolsi ed allogai nella slitta. Mettemmo nella cassa, sotto il letto del veicolo, due abiti di state. L'estate precedente avevamo avuto un caldo di 34 gradi Réaumur.
Io aveva le mie armi: due revolver ed una carabina a due colpi, vale a dire dodici colpi, dodici vite, prima di esser obbligati a ricaricare.
| |
Jakuti Cesara Réaumur
|