- Questo è pure il mio avviso. Ho visto tante facce russe e cosacche, che sono assetato di contemplare dei buoni volti mantsciù.
- Avete ragione, toyone. Possiamo dunque partire.
- Comperatevi il pane, almeno per tre giorni.
- Non occorre, padrone: io non mangio che ogni quattro giorni, e ancora! Il pane ci caricherebbe, e la slitta è già troppo pesante per le nostre bestie. La corteccia del larice non manca lungo la via, e dessa è eccellente.
- Io pure la penso così; ma ho qui un giovane fratello che non è mica altrettanto ruminante. Nondimeno, se ciò fa peso...
- Sì, la nostra corsa ne sarebbe rallentata... Avremo molte, molte montagne a scalare. Andiamo, colla grazia di Dio!
Io strinsi la mano a Jodelle, che mi parve assai commosso, e partimmo.
I primi giorni passarono a meraviglia. C'intromettemmo per una cinquantina di verste nell'interno della contrada, poi cominciammo a seguire, a questa distanza, la direzione parallela al punto cui miravo. Non ombra di strada. Dei piccoli sentieri, talvolta praticati attraverso lagune, foreste, steppe, sbarrati da macchie spesse e chiuse, colline e montagne erte.... e ciò fino al letto dell'Anadyr - cinquemila chilometri! Incontrammo qualche ulus, o gruppo di cinque o sei case di Jakuti, spalmate di terra grassa; e se il sole ci salutava di un sorriso, la pietra speculare o il pezzo di ghiaccio delle loro finestre fiammeggiava come lamina di diamante. Il paese si sviluppa per un seguito di pianure e di colline alberate, di piccole vallate, ove la state scorrono chiari ruscelli.
| |
Dio Jodelle Anadyr Jakuti
|