Facemmo alto un dì all'imboccatura della valle, ove l'Arga raccoglie una parte delle sue acque. Fummo assaliti da un caccia-neve, che faceva dar le volte alla slitta ed alle renne. Per fortuna, eravamo nella pianura.
Dal 22 novembre era cominciata una notte, che durò trentotto giorni! La forza della rifrazione, la smagliante bianchezza della neve - non avevamo ancora avuto aurore boreali - temperavano l'oscurità. Ma quando l'uragano di neve batteva la campagna, non si vedeva più ad un metro di distanza.
Ci sembrò esser perduti. Impossibile di fare un passo oltre. Un gruppo di larici e di betulle era ad una mezza versta a sinistra, a piè di una prominenza; Metek ed io prendemmo le renne per la correggia, e, sprofondando nella neve fresca, che cadeva come una sabbia di punte di aghi e ci trapassava, tagliammo la via verso questo ricovero. Lo raggiungemmo. Legammo la slitta, che girava come una trottola, e distaccammo le renne. Non bisognava pensare a spiegare la nostra piccola tenda o accendere il fuoco. Dovemmo contentarci del pesce secco e del biscotto e bere un sorso di acquavite. Non avevo termometro, ma sono persuaso che il freddo toccava i 38 o 40 gradi; perocchè il legno era divenuto duro come ferro, e l'accetta sarebbe andata in pezzi come vetro, se non l'avessimo adoperata con grande precauzione.
I monti che circondavanci, come pure le boscaglie, avevano dei gridi di laceramento: macigni che si fendevano e precipitavano, alberi che schiattavano, rami che si spezzavano nella battaglia, sotto la potenza che li lanciava gli uni contro gli altri.
| |
Arga Metek
|